Benvenuta gioia

La terra privilegiata della gioia

Nella terra delle emozioni un luogo privilegiato da visitare è la gioia; a tratti, nel fluire quotidiano scandito da impegni e pensieri, sembra una meta faticosa da raggiungere. È un posto meraviglioso nel quale addentrarsi senza un programma di viaggio prestabilito, ma provando il diletto di lasciarsi incantare. Il termine, dal francese joie e dal latino gaudia, indica uno stato di contentezza intima, che pervade la persona di esultanza e piacere e che si esprime con un linguaggio vitale, attraverso segnali precisi del volto e del corpo. La gioia desta, illumina, rinnova. La sua natura è potente perché proviene dalle profondità dell’animo, è intensa perché nasce improvvisa per accendere lo sguardo di chi la prova, spingendolo a sollevare gli occhi verso i desideri; è, d’altro canto, effimera nella sua intrinseca temporaneità, ma permane indelebile nella memoria: la bellezza di quegli attimi di felicità divengono risorsa, spinta verso la ricerca di pienezza. Si prova tale emozione fin da piccolissimi, quando si riesce a compiere qualcosa o si sperimenta uno sguardo amorevole da parte di chi accudisce. La gioia dei bambini è spesso considerata scontata, come se detenessero un tesoro che da grandi non si ricorda dove sia stato nascosto. Il loro sorriso sgorga fresco per un’attitudine alla meraviglia: un abbraccio più stretto, una parola dolce, un divertimento condiviso. I piccoli hanno bisogno che anche questa emozione così desiderabile venga riconosciuta affinché possano costruire una base emotiva sicura. Un genitore accompagna il figlio nel vissuto, lo fa risuonare, gli offre la sapienza di chi sa quanto accade, gli permette di sostare insieme nei differenti luoghi del sentire.

In consulenza si realizza un percorso simile nel quale la gioia rappresenta un punto di forza: all’inizio, benché appaia lontana, può essere toccata attivando la memoria delle esperienze pregresse; diviene realtà presente grazie alla sperimentazione del rapporto autentico di fiducia, tramite l’acquisizione di consapevolezza di sé, nel raggiungimento di obiettivi graduali. 

La gioia comporta apertura, perché la sua radice raggiunge le profondità dell’animo solo grazie alla relazione. È un’emozione piacevole, confortevole: tutto appare acceso di colori, ma mai banale. Molti adulti hanno come la percezione di averla accantonata, perché sono affaticati da pensieri e mansioni routinarie, a volte si sentono oppressi; si ha l’idea che per provare la gioia debba per forza accadere un evento eccezionale e che spesso si corra il rischio di essere semplicemente delusi. La straordinarietà di un evento gradito produce buonumore, reazione energica, ma la gioia è un paese interiore che si illumina quando ascoltiamo noi stessi, quando ci prendiamo cura dei nostri bisogni, quando viviamo il presente e le relazioni in modo autentico.

Irene Bratti Consulente familiare presso il consultorio  La famiglia di Palazzo di Assisi

La gioia di voler bene

Nell’ambito delle relazioni interpersonali, l’amore rappresenta il soffio vitale che sottrae spazio all’angoscia del non senso, alla percezione di un vano fluire del tempo. Evitando fumose fantasie idealizzate, è possibile affermare che il desiderio d’amore trasforma la vita e la permea: l’anima riconosce nel rapporto con l’altro, che ha da sempre anelato, il significato profondo dell’esistenza cui consegnare l’interezza di sé. L’amore rinuncia alla pretesa per farsi dono, ricompone le ferite perché non esige, ma accoglie, genera e perdona; è costituito di un’intelligenza del cuore grazie alla quale l’uomo ritrova la propria essenza e la propria unità.

Questo legame consente di toccare emozioni intense: la gioia, in particolare, nell’età adulta rinnova l’esperienza positiva dell’attaccamento che da bambini è stato provato verso la figura accudente e, nelle prime fasi del rapporto, suscita quell’entusiasmo che favorisce l’avvicinamento. La gioia è invece matura e feconda quando l’incontro diventa scelta; si basa sulla capacità della coppia nel quotidiano di “rilanciare”, di guardare ad un progetto comune, di sostenere sempre il desiderio dell’altro con cui crescere e cambiare in modo creativo. Nella relazione, affinché avvenga questo, servono la reciprocità e la costruzione di un “noi” che rappresenta una identità nuova, in cui quelle individuali, pienamente consapevoli di sé, si sono unite in una forma di comunione, priva di rapporti di potere. Un legame di questo tipo produce vitalità, libera energia, incrementa la capacità di agire, promuove una profonda conoscenza reciproca. Senza mai sottrarsi alla fatica o all’impegno, l’apertura e la flessibilità, aspetti connessi alla gioia, sono risorse che permettono di reagire ai momenti di difficoltà e di fragilità che la vita lascia emergere. La felicità si realizza nella capacità di rinnovare e di sperimentare, consente di apprendere come sostenere l’altro affrontando le situazioni.

Quando una coppia giunge in consulenza, vive un momento di crisi le cui cause possono essere molteplici; si predilige la presenza di due consulenti, un uomo e una donna, per effettuare in modo più efficace il percorso. È necessario che entrambi abbiano scelto di intraprendere il cammino perché non si può giungere alla terra del “noi” se non per desiderio.  Si tratta di un lungo viaggio in cui i consulenti seguono e supportano i passi della coppia, rispecchiandone il vissuto emotivo, portando a un livello di consapevolezza le dinamiche in atto, educando all’ascolto ed alla comprensione; con pazienza si torna a vedere l’altro, a comunicare in modo adeguato. La gioia è un’emozione da riconquistare; il sorriso di solito rivela che è stato toccato un ricordo di felicità o che la coppia ha iniziato a scorgere l’orizzonte dimenticato.

Irene Bratti Consulente familiare presso il consultorio La famiglia di Palazzo di Assisi

La gioia nel quotidiano.

Collegata al piacere provato per il raggiungimento di un obiettivo o per un bisogno soddisfatto, possiamo definire la gioia come il contatto riuscito con l’oggetto desiderato. Insieme a rabbia, attesa e accettazione, la gioia indica l’andare verso qualcuno, l’avvicinamento. Il dinamismo è una sua parte inscindibile: sono significative le frasi che la esprimono: “Non stare nella pelle per la gioia”; “Saltare di gioia”; “Non si tiene dalla gioia”. In effetti chi esulta o grida di gioia entra in scena rumorosamente e visibilmente. Molti di noi hanno impressa, a tal proposito, l’immagine di Gianmarco Tamberi che, alle olimpiadi di Tokyo questa estate, saputo del successo (medaglia d’oro) nella disciplina di salto in alto, accompagna con grida vigorose la sua corsa irrefrenabile in cerca del compagno di squadra con il quale condividere la vittoria. Molto importanti anche le sue dichiarazioni: ”Ho sognato questo giorno per tanto tempo. Sono passato attraverso qualsiasi tipo di difficoltà pur di tornare, pur di farcela pur di riuscirci. E’ un sogno che ho dentro da tanti anni e lo abbiamo realizzato… Io e le persone che mi sono state accanto: il mio team sanitario, gli amici, la mia fidanzata Chiara, il papà. Ragazzi, grazie! Ce l’abbiamo fatta, abbiamo vinto le olimpiadi.” Parole fluite con energia e senza troppi ragionamenti da una persona strafelice, che mostrano un altro aspetto, chiamato anche il “magico potere”, della gioia: “la capacità di passare dalla dimensione dell’io a quella del noi. Di vivere in relazione con gli altri contando sui legami affettivi, guardando in faccia il presente senza le costruzioni di desideri difficili o impossibili che spostano sempre la gioia al futuro, e senza i rimpianti che respingono nel passato”. [Vittorino Andreoli, La gioia di vivere]. Le emozioni infatti, soprattutto la gioia, quando sono condivise con le persone importanti rinforzano la relazione. Nella consulenza familiare questo è l’aspetto più evidente: aldilà della risoluzione della problematica portata dal singolo o dalla coppia, la spinta al movimento (interiore e relazionale) per cercare quello che fa star bene, che protegge, che permette di vivere ogni situazione attraversandola adeguatamente, fa rinascere nella persona la fiducia persa nella momentanea difficoltà e gli permette di scoprire il piacere di riprendere in mano la conduzione della propria vita. Allo stesso modo il consulente prova soddisfazione e per essere stato d’aiuto e per essere riuscito nella sua professione.

Monica Carnieri Consulente familiare presso il consultorio La famiglia di Palazzo di Assisi

La gioia del perdono

L’evoluzione ci dice che l’essere umano non nasce solitario, aggressivo e autoreferenziale ma che piuttosto è fatto per essere in relazione e che il senso di vicinanza emotiva con gli altri, la connessione e la collaborazione sono fattori che da sempre permettono la sopravvivenza e procurano gioia. La riflessione sul perdono è di quelle che tutti facciamo nella vita poiché ci capita di essere feriti e non risarciti. Perdonare è un’esperienza profonda e una strada lunga e difficile da percorrere. Ha a che fare con una guarigione, una riparazione, parte da una relazione ferita e sanguinante e la fa (ri)nascere. Non è quasi mai un singolo atto ma un processo che richiede tempo, tolleranza, pazienza. Ed è una scelta, qualcosa che possiamo decidere di iniziare nel percorso della nostra vita. Niente e nessuno può costringerci a perdonare, né noi stessi, né gli altri, né i nostri valori morali e religiosi, perché perdonare senza condizioni significa amare e non è una cosa meccanica che accade in pochi minuti. Chi concede il perdono attraversa una trasformazione interiore che modifica il modo di percepire il mondo, le persone e le relazioni e permette la comprensione e la compassione verso l’umanità altrui ricordando la comune fragilità: mendicanti di amore, di bene, di sicurezza, a volte, ci feriamo a vicenda, perché in quel momento ci sembra l’unico modo per avere ciò di cui abbiamo bisogno. La consulenza familiare, può essere uno dei luoghi privilegiati dove la persona o la coppia è aiutata ad ascoltarsi, ad auto ascoltarsi, a sperimentare l’importanza di fare i conti con se stessa per imparare che ogni emozione è significativa e avverte che quello che sta succedendo può condurre verso un cambiamento. Cambiare, poi, non è mai un passaggio facile e veloce, per riuscire ci vuole coraggio e assunzione di responsabilità, e quel tanto di insofferenza, insoddisfazione, rabbia, da permettere di chiedere aiuto poichè i vissuti emotivi sperimentati nell’isolamento portano alla solitudine e appaiono più violenti e insuperabili. Portare sulle spalle il peso dei sensi di colpa, vergogna, rivalsa o ancor peggio vendetta, incurva la spina dorsale e non solo quella fisica, toglie freschezza, vigore agli anni, e gioia alla vita. Il consulente familiare che a motivo della sua formazione sperimenta su di sé la forza rigenerativa delle relazioni riparate, osa sempre scommettere sulla possibilità del cliente di sentirsi ancora capace di meritare amore e vicinanza.

Monica Carnieri Consulente familiare presso il consultorio La famiglia di Palazzo di Assisi

La Paura

LA PAURA: emozione da evitare?

La paura è una delle cinque emozioni innate, ed è una straordinaria risorsa di sopravvivenza e di mantenimento della specie per l’uomo e per gli animali. Si tratta di un meccanismo di difesa che entra in azione ogni qualvolta esiste un pericolo per la vita: mediante due ‘radar’che si chiamano amigdale,  poste nella profondità del nostro cervello che sono sempre attive e che monitorano e gestiscono la nostra parte emotiva. In poche parole che cosa accade quando ci troviamo di fronte ad un pericolo ? Si attiva inizialmente è il sistema della sopravvivenza che prepara il nostro corpo alla fuga, all’attacco o al congelamento. Ma questo può accadere anche nella quotidianità: pensiamo a ciò che avviene quando un alunno che non ha studiato e vede arrivare la prof col registro pronto ad interrogare: mentre guarda il registro lo studente sente un tuffo al cuore, che poi comincia a battere all’impazzata,le gambe vorrebbero correre via, ma è obbligato a rimanere seduto, quindi si immobilizza e si congela ( fino allo svenimento o alla morte apparente in casi estremi).

Accanto a questa paura innata ne esiste un’altra definita appresa che si attiva quando abbiamo consapevolezza di un pericolo, quando cioè non si attiva solo il radar, responsabile della risposta automatica ed istintiva, ma entra in gioco la parte cognitiva che, valutando il tipo di pericolo, può mettere in atto una serie di risposte diverse. E questi tipi di risposte dipendono dalle esperienze che abbiamo avuto e che abbiamo interiorizzato, ossia dipende dal significato che attribuiamo allo stimolo pauroso.

In consulenza ci troviamo spesso ad avere a che fare con questa emozione: paura di perdere la relazione con l’altro, di affrontare le problematiche che l’adolescenza di un figlio propone, paura di non essere all’altezza di un lavoro, di un esame, paura di un cambiamento, di una separazione, di un tradimento. Potendo lavorare solo nel qui ed ora cerchiamo di educare il cliente a guardare questa paura , ad accoglierla, ascoltarla, piuttosto che negarla o vergognarsene, cercando di creare un ambiente in cui possa sperimentare una relazione sicura in cui possa guardarsi un po’. Iniziamo con l’esplorare innanzitutto il fatto che scatena la paura, per circoscrivere il nostro intervento: esiste infatti un importante linea di demarcazione tra la paura e gli altri parenti stretti come l’ansia, il panico ed il terrore, ( disturbi che non sono di nostra pertinenza):  la paura è una reazione emotiva ad un pericolo reale, presente davanti a noi con una durata limitata, l’ansia è una reazione ad un pericolo percepito previsto ed è un disturbo continuativo. Avendo focalizzato il fatto, si osserva che cosa accade nel corpo, quali pensieri emergono in merito a ciò, si esplora se la paura è l’unica emozione presente o ce ne sono altre, per poi arrivare ad esprimere il bisogno sotteso, o il desiderio, valutando la possibilità o meno di raggiungerlo e con quali azioni concrete e fattibili.

Angela Passetti Consulente Familiare Consultorio La Famiglia di Palazzo di Assisi

MAMMA AIUTO HO PAURA!

Ed eccoci a provare a parlare della paura dei bambini. Abbiamo detto che la paura è l’emozione madre, quindi non è strano pensare che il bambino appena nato quando non sente il caldo abbraccio della mamma protesta e impara presto che certi suoi richiami attirano l’attenzione della figura a cui tiene di più: è la prima paura che ognuno di noi ha provato, ovvero la paura di essere abbandonati. Man mano che il piccolo cresce e si abitua ai visi noti della figure che lo accudiscono, ogni viso nuovo incute timore e allora cerca lo sguardo rassicurante della mamma o il suo caldo abbraccio come a dire “ mi posso fidare di questo estraneo?”. Quando poi il bambino inizia a comprendere che non è più in simbiosi con la mamma, compare la paura di non essere amato. Voglio citare, a questo riguardo, le parole tratte dal testo P come paura (R. De Leonibus): se non mi vogliono abbastanza bene come farò a convincerli?… dovrò fare in modo di agire sui loro sentimenti … fino a quando riuscirò a farmi amare sono salvo … dipendo da loro, se mi amano non avrò più paura. Ecco il primo potentissimo pilastro del potere dell’amore, e il primo terribile rischio, quello di non essere voluti abbastanza bene.

E poi arriva la paura del buio: la notte è un momento della solitudine, della separazione dalla mamma che il bambino sopporta solo se il legame di attaccamento è sufficientemente buono, ossia se la mamma almeno il 30% delle volte è riuscita a sintonizzarsi con i bisogni del suo bambino. Cari genitori sapete cos’è la sintonizzazione emotiva? E’ la capacità di ascoltare, accettare e comprendere l’emozione del vostro bambino per creare un ambiente e un clima adatti a favorire un rapporto fondato sulla fiducia reciproca.

Quindi verso i 4-5 anni fa capolino la paura dei mostri invincibili e potenti, dei lupi, dinosauri enormi e brutti e allora cari genitori iniziamo a raccontare le fiabe. La fiaba, con un linguaggio simbolico, aiuta il bambino a fare ordine nella sua casa interiore in costruzione in quanto parlano di ciò che il bambino vive, e offrono soluzioni permanenti o temporanee alle sue difficoltà. La fiaba semplifica le situazioni, ha sempre un lieto fine e dà modo al bambino di trarre un significato diverso dalla stessa fiaba a seconda dei suoi interessi e bisogni del momento. Può infatti tornare sulla stessa storia quando è pronto a elaborare vecchi significati o a sostituirli con significati nuovi.

In consulenza quando un genitore porta le paure del bambino cerchiamo di far comprendere che il compito di ogni genitore è fornire al proprio figlio quella base sicura da cui partire per esplorare il mondo, affinchè sappia che c’è qualcuno che lo sorveglia, lo aiuta, lo ammira, gioisce con lui delle sue conquiste e progressi. E allo stesso tempo quando ha bisogno di tornare al porto sicuro per essere consolato, per regolare le sue emozioni, per essere accolto qualsiasi cosa accada. E se come genitori non ce la facciamo a reggere queste paure, si cercherà una strada un po’ diversa per affrontarle.

Angela Passetti Consulente Familiare Consultorio La Famiglia di Palazzo di Assisi

La paura e gli adolescenti

L’adolescenza è una fase dell’età evolutiva caratterizzata da un ricco potenziale che si esprime nell’energia del cambiamento e nella creatività di immaginare un futuro di promesse; comporta la necessità di affrontare dei compiti di sviluppo, che si traducono in tappe progressive, come fossero spinte per una seconda nascita, grazie alla quale si realizza una separazione nei confronti delle figure genitoriali. Gli individui, portando a compimento una complessiva e consapevole ristrutturazione cognitiva ed affettiva, apprendono infatti le competenze necessarie ad assumere le responsabilità proprie di un adulto.

Definita spesso come un’età ingrata, increspata da crisi continue, l’adolescenza risulta, invece, una stagione dell’esistenza fragile, ma meravigliosa, che deve essere protetta: è il tempo della sperimentazione, funzionale all’acquisizione dell’autonomia e del senso di autoefficacia. L’adolescente diviene il centro di un ampio movimento, in cui convivono forze centripete, connesse a un bisogno di continuità con il proprio passato, e forze centrifughe, legate all’abbandono dell’infanzia e a una ricerca di autonomia.

Talvolta alcuni ragazzi hanno come l’impressione di “morire” nell’attuare una separazione da quello che era il loro mondo conosciuto e nell’incertezza di non vedere bene verso quale porto stiano procedendo. Tale vissuto è paragonabile a un lutto ed è caratterizzato da momenti di intensa paura: paura di perdersi, di non essere amati, paura di non farcela. L’adolescente rischia di sviluppare una depressione mascherata che si rivela sotto forma di comportamenti antisociali, sentimenti di vuoto, noia, indifferenza; prevalgono sensazioni estreme e le emozioni vengono agite senza essere filtrate: la paura blocca, spinge alla fuga o si manifesta con atteggiamenti passivo-aggressivi, facile irritabilità e malumore.

La famiglia deve rimanere capace di trasmettere sicurezza attraverso il contenimento. I genitori sono chiamati a ripensarsi, confrontandosi con il ricordo della propria adolescenza, con la necessità del cambiamento e con la ricerca di nuovi equilibri. Un sostegno significativo può divenire la consulenza perché l’adolescente si sperimenta in una relazione protetta con un adulto “potente” in grado di accogliere. Molto spesso, infatti, l’insoddisfazione, il disagio e il disadattamento sono legati a dei rapporti falsati o degenerati a livello di interazioni comunicative, in particolar modo con le figure di riferimento; proteggere dalla sofferenza, nascondendo la verità o facendo evitare esperienze difficili è l’inganno a cui alcuni adulti arrivano per difendere più loro stessi che i figli. Il consulente, aiutando a dipanare il filo dei vissuti, permette al ragazzo di esplorare il labirinto del proprio sentire, di riconoscere e validare tutte le emozioni, affinché la consapevolezza consenta di affrontare paure e cambiamenti, non avendo la pretesa di conoscere la sapienza del cammino, ma avendo imparato il coraggio di provare la strada.

 Irene Bratti Consulente Familiare Consultorio La Famiglia di Palazzo di Assisi

La paura a scuola

Durante l’esperienza scolastica molti allievi manifestano disagi momentanei, ma con il tempo ed un corretto supporto degli adulti imparano a confrontarsi con le situazioni e a riconoscere le proprie risorse; il superamento di tali problematiche si trasforma in un passaggio significativo che accresce la fiducia in se stessi e l’autostima.

Differenti sono le motivazioni che scatenano la paura, ma nel complesso sono afferenti a due aree principali: la separazione e l’adattamento a una società più ampia e strutturata; per quanto concerne il primo ambito, gli eventi più frequenti riguardano l’ingresso nel mondo della scuola, il passaggio da un ordine all’altro di istruzione, l’avvicendamento di insegnanti, problemi familiari. Relativamente all’ansia sociale, la paura è collegata al rendimento e ai rapporti interpersonali: i ragazzi incontrano difficoltà nello svolgimento delle attività, nelle interazioni con i compagni o con i docenti; vengono sopraffatti dai risultati negativi e dalla mancanza di riconoscimento.

Alcuni aspetti, legati al contesto familiare, possono creare una predisposizione a vivere con preoccupazione l’ambiente scolastico: l’apprensione genitoriale, l’iperprotettività, la tendenza a trattare il ragazzo come se fosse sempre “piccolo”, l’eccessiva enfasi sulle capacità di riuscita e sul successo come prestazione performante. Tali elementi attivano delle risposte ansiose da parte dell’alunno che prova paura di fronte ai normali compiti di sviluppo e al risultato delle sue azioni; l’allievo si identifica con l’esito delle prove e crolla di fronte all’ostacolo o alla frustrazione.

La presenza di un buon clima relazionale a scuola aiuta gli studenti a superare tali disagi e consente loro di esprimere le proprie potenzialità; le dinamiche interpersonali molto competitive o svalutative creano invece demotivazione e timore. In tale contesto l’insegnante è la figura che “contiene” e promuove un percorso nel quale, rendendo aperti i ragazzi alla cultura, favorisce la soggettivazione del sapere; grazie al proprio stile educativo, suscita emozioni e reazioni. Lontano dall’attuale illusione distorta del docente psicologo, il professore deve però essere consapevole del ruolo che detiene nello sviluppo affettivo, emotivo e intellettivo degli alunni; per questo è necessaria un’attenzione alla relazione, all’ascolto attento, alla comunicazione adeguata e congruente.

La consulenza può risultare un aiuto valido perché un soggetto esterno, percepito come competente e rassicurante, permette al ragazzo di esprimere e validare angosce e paure; attraverso la comunicazione empatica, il rispecchiamento e le attivazioni agevola l’autoconsapevolezza nella direzione di una crescita personale.

Risorsa efficace per la scuola e per le famiglie, la consulenza offre un sostegno nelle situazioni problematiche, si prende cura della sfera emotiva dei ragazzi, supportando i genitori stessi, permette la conoscenza di sé, potenzia la capacità di relazionarsi e di automotivarsi.

Irene Bratti Consulente Familiare Consultorio La Famiglia di Palazzo di Assisi